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Touhou: Poltergeist Sabbath of Nightmares
Inviato: 29/09/2009, 1:08
da Yuki
Dopo due tre settimane di brevi riflessioni nel tempo libero tra un manuale scolastico e l'altro (ed esami T_T), ho finalmente messo giù una settimana fa la scaletta per la mia fanstory su Touhou, come promesso nel post di presentazione. E dalla scaletta di idee, è sorto questo primo capitolo, come ne sorgeranno altri prima o poi. Spero vi piaccia ^^. L'ho scritta per piacere personale innanzitutto e poi anche per tentare nuovi approcci narrativi che non avevo tentato negli altri miei raccontini personali.
Spero davvero tanto di farvi entrare con la mente nel mondo di Touhou con questa mia storia, dato che io ho cercato di metterci il più possibile il mio modo di vedere e concepire l'universo di Zun e i personaggi ^^
Uno special thanks ai Dream Theater, le cui musiche mi sono state di grande ispirazione per le atmosfere (soprattutto Metropolis Part I e Under a Glass Moon, se vi interessa sapere che "colonna sonora" ha il primo capitolo).
Aspetto da voi commenti, sia critiche sia pareri positivi. Non essendo Stephen King sbaglio :3 Quindi commentate, criticate, discutete, in modo che mantenga le cose positive ed elimini le cose negative.
A VOI LA STORIA. Buona lettura
Re: Touhou: Poltergeist Sabbath of Nightmares
Inviato: 29/09/2009, 1:13
da Yuki
Capitolo 1
Anima inquieta
Puro, il cielo stellato, così puro, privo di imperfezioni, come un sogno senza ansie; punteggiato di un bianco come di latte in infinite gocce, luceva come oro e argento di astri in lento scorrere, attendeva l’arrivo ancora lontano del sole, coprendo il paesaggio di tenue luce.
Una stella rossastra sfavillava coprendo le altre, evocava una sensazione innaturale, lontana, cosmica, non di questo mondo. La sua luce brillava lassù sfolgorante, e su di un occhio aperto, a formare mischiandosi un colore aranciato di una tonalità mai vista prima. L’occhio castano dorato ammirava la stella persa nel mare di bianco, una stella passionale, ardente, ambiziosa, sincera. I due occhi dorati scuri vi si concentravano in un triste desiderio di fondervisi per sempre, una fuga dalla realtà, possibilità ormai negata dalla matura consapevolezza di quegli occhi: “Aaah...” un sospiro.
I due occhi si scostarono dalla visione celeste, un ciocca di capelli biondi cadde sulla guancia della ragazza pensierosa, che li riposizionò dietro l’orecchio indispettita.
“Non posso andare avanti tutte le notti così, non reggerò a lungo, il sonno mi sta divorando...”
La ragazza sbadigliò, poggiandosi su una colonna del portale del tempio Hakurei; cercava conforto in un luogo protetto dagli dei e dalle barriere spirituali, ormai incapace di dormire sonni tranquilli. Le sue occhiaie erano ormai molto evidenti, anche se comunque si intonavano in un qualche modo con l’usuale disordine nell’aspetto della ragazza.
Una voce dal tempio: “Non dirmi che neanche qui riesci a dormire?”
“Non voglio dormire.. cioè, si vorrei dormire, ma non ce la faccio, quando sto per chiudere gli occhi mi sveglio di scatto...”
La voce femminile dal tempio si concretizzò nell’unica sarcerdotessa residente, Reimu Hakurei: “Non so e non voglio neanche sapere cosa hai combinato, ma sono due le cose che devo dirti. Primo, dormire qui è sicuro, se qualcuno entra io lo percepisco. Secondo, se qualcosa non va nel Gensokyo devi avvertire me. Terzo, se hai provocato disordini ti conviene starmi lontana prima che lo scopra.”
Un sorriso malizioso comparve sul viso della ragazza bionda “Non erano due le cose che dovevi dirmi?”
“La terza è inclusa in ogni discorso che ti faccio, ma siccome ti comporti solo come ti gira al momento, te lo faccio presente, anche perché lo sai che è compito mio mantenere l’ordine e, amiche o non amiche, se fai danni tocca a me riparare e punire il responsabile, fossi anche tu. Sai bene che non mi fermo neanche di fronte a te.”
“Si si... ora lasciami dormire...”
“Ma che discorsi! Hai appena detto che non riesci a dormire!”
“Si! Per colpa tua, bella ospitalità che dai agli infermi, ci parli nelle orecchie mentre cercano di addormentarsi.”
La sacerdotessa dai capelli neri si accigliò; era una delle sue classiche provocazioni, amava mettere in difficoltà il prossimo e lo stava facendo di nuovo. Marisa Kirisame era forse l’essere umano più indomabile che conosceva e la meno incline alle gentilezze, sebbene non fosse di indole cattiva.
“Chissà che ti prendi due occhiaie come due barche, ne ho abbastanza di farti da balia, sei sufficientemente grande da andarti a prendere la ciuccia da sola! Non venire a chiedermi aiuto stanotte o ti tiro dietro un barattolo di vetro!” e girandosi di scatto si diresse verso il tempio.
“Magari di miele, potrebbe venirmi fame.”
Marisa si alzò, stiracchiandosi le braccia, sentendosi poco dopo abbastanza stupida, non avendo dormito per niente. Era circa mezzanotte, e non dormiva per bene da quasi due giorni. All’offerta di Reimu di sdraiarsi dentro al tempio aveva rifiutato, non se l’era sentita, voleva riposare all’aperto, in un luogo non chiuso; per un qualche strano motivo che non capiva. Si sentiva insicura al chiuso, le ricordava dell’esperienza dell’altra notte, a casa sua.
Due notti fa, nel pieno del sonno, si era svegliata in preda ad orrendi incubi, pieni di figure grottesche che la braccavano, per poi catturarla e squartarla a pezzi, concludendosi con la macabra immagine di quelle mostruosità che ne divoravano i brandelli insanguinati. Al risveglio improvviso aveva urlato in un tono agghiacciante ed era corsa fuori casa delirante in vestaglia, ancora infestata dalle visioni infernali, mentre lei si contorceva al suolo tirandosi i capelli e piangendo scompostamente urlava ancora in preda al terrore. Il delirio era continuato per qualche minuto, tanto che le era mancata la voce per via della gola secca, e i polmoni respiravano a fatica. Le immagini mostruose si erano presentate dopo il risveglio miste alle immagini reali, e non c’era stato modo di cacciarle, per alcuni minuti di puro orrore. Nessun sorso d’acqua, nessun colpo infertosi al viso, neanche chiudere gli occhi e riaprirli. Nell’arco di 5 minuti circa se n’erano andate. La debilitazione fisica conseguente era stata devastante, la percezione della realtà di Marisa era stata perturbata per quel giorno da esperienze extrasensoriali, che nulla avevano a che vedere con la magia nera, che l’avevano portata a scorgere messaggi di morte scritti sulle pareti e sul terreno, per poi scoprire che erano inesistenti, una volta avvicinatasi per controllare. La respirazione era rimasta affannosa per diverse ore. In capo a una quindicina di minuti aveva sentito bussare la porta principale “Marisa! Sei sveglia? Apri!” Una voce confusa nella sua testa “ Tutto bene? Aprimi!” Marisa aveva prestato poca attenzione alla natura della voce esterna, o meglio, la sua percezione distorta della realtà le aveva fatto intendere che era una creatura del suo incubo alla porta, e impugnato convulsamente un pugnale, si era nascosta in tremante attesa dietro una parete. Avrebbe colpito l’orrenda creatura di sorpresa, non se la sarebbe cavata.
Improvvisamente aveva sentito un sommesso bisbiglio provenire da quella voce... un incantesimo! L’avrebbero uccisa con un incantesimo! Non appena avessero aperto la porta, pensò tra se e se, avrebbe ucciso quell’essere o quegli esseri dietro di essa, non avrebbe lasciato che la eliminassero così facilmente.
Finalmente, un botto improvviso, una spallata a giudicare dall’impatto; la porta era stata abbattuta. Marisa si era gettata contro la figura col pugnale pronto a colpire immediatamente; riuscì solo a cogliere nell’oscurità una figura umanoide, con un abito lungo e bianco, e dei capelli forse biondi... pochi centimetri prima di riuscire a colpire disperatamente il petto della creatura, era stata sbalzata via da una potentissima onda d’urto: l’incantesimo che aveva sentito preparare. La devastante forza d’impatto l’aveva gettata addosso alla libreria dell’ingresso, causando la caduta di numerosi tomi; in un attimo aveva perso coscienza, un incantesimo stordente... e una voce prima di svenire “...maledizione... eri tu.”
Al risveglio si era trovata in un maestoso letto, tutto pulito e dalla trapunta ricamata finemente, in una camera sontuosa ; una bambola la fissava a mezzo metro. “E’ sveglia, è sveglia!”
Marisa riconobbe subito la padrona della bambolina, al suo entrare nella stanza. “Che cavolo ci fai a casa mia, Alice?”
“Questa E’ casa mia, cretina.”
“Purtroppo lo so, cercavo di convincerti del contrario.” Alice aveva preso a manifestare ancora di più la sua rabbia. “Ieri notte, non so che diavolo hai combinato per fare tanto casino urlando, ma mi sono allarmata a sentire tanta confusione. Non sapendo cosa fosse, sono uscita senza neanche vestirmi e venuta da te per chiederti cos’era successo e, dato che non mi rispondevi, ho pensato ad uno youkai dentro casa tua, invece eri tu che facevi la stupida, non si gioca coi pugnali! All’inizio avevo il rimorso per averti lanciato un incantesimo addosso per sbaglio, ma sono del parere che te lo meriti tutto. Ti ho fatto trattare le ferite dalle mie bambole, quindi non hai quasi più nulla.”
“Bè, grazie di tutto collega, ora devo andare perché ho delle faccende da sbrigare...” Aveva detto scendendo dal letto, scoprendo di essere praticamente nuda, piena di piccole ferite superficiali e qualche benda. Alice l’aveva fissata con aria perplessa e scocciata “Magari te ne potresti andare mettendoti qualcosa addosso, non trovi? Capisco che a te interessa ben poco di come sei vestita e che potresti andare in giro nuda, ma c’è qualcosa che si chiama decenza, se non l’hai presente.” Aveva risposto col solito sorriso simulatamente innocente e provocatorio: “Ah, si la conosco, eravamo compagne di classe...” “Smettila di prendermi in giro! I tuoi vestiti sono nell’armadio, mettiteli e poi fuori di qui; ne ho abbastanza, anzi no. Ora mi dici cosa è successo ieri notte.” A quel punto il volto di Marisa si era fatto pensoso. “Credo di non saperlo bene per ora. Suppongo un comune incubo.” “Un comune incubo? Arrivare a cercare di pugnarlarmi? Un comune incubo?” “Cosa vuoi che ti dica..” Il suo volto si era fatto ancora più pensoso “ Ad essere sincera non è affatto un comune incubo, ma potrebbe essere un caso del tutto eccezionale, del resto di recente ho avuto a che fare con diversi problemi e il il sovraccarico di preoccupazioni deve avermi giocato un brutto scherzo...” Alice era stata sempre meno convinta, ma del resto sempre un incubo era. “Capisco, vedi di berti una tisana e di rilassarti prima di andare a letto, non voglio altri problemi di notte...” “E sia. A buon rendere, Alice.” E se ne era uscita tutta di fretta.
Fatto sta che la notte successiva, ovvero la notte scorsa, si era ripresentato il problema, immagini a dir poco raccapriccianti avevano coperto il suo sonno, accompagnato da un risveglio traumatico e urla disperate nel bel mezzo della notte. Le scritte minatorie di morte che aveva visto sulle pareti quella sera si erano manifestate anche sulla sua pelle: -Muori- il messaggio che era comparso su di essa; la carne si scuriva di un colore livido attorno alla scritta e perdeva di sensibilità per i pochi minuti di durata dell’allucinazione... o forse non era un’allucinazione? Fortunatamente quella notte Alice non era accorsa. Se avesse ignorato il problema o semplicemente non avesse sentito, Marisa non lo sapeva, ma le faceva comodo, non voleva altre seccature, si era decisa a riposare per almeno una notte al tempio per verificare se il fenomeno fosse legato a questioni di località. E comunque un posto consacrato e protetto dalla magia divina avrebbe certo dato dei segnali a Reimu, che avrebbe potuto identificare una eventuale maledizione, dato che di magia nera non si trattava, almeno per quanto ne sapeva la maga. Nel migliore dei casi, poteva essere solo una semplice allucinazione dettata da brutti incubi, e Marisa ci sperava molto. Quella seconda notte insonne aveva lavorato molto con i componenti alchemici, e il risultato del suo lavoro fu raccolto in poche boccette, che aveva posto nella tasca nascosta sotto il grembiule. Aveva rispolverato diversi libri che non studiava da anni, e rinfoderato il pugnale nella guaina legata al petto, sotto la camicia. Ed era andata al tempio con la sua solita scopa.
La notte non passava... Era stanca, ma non riusciva ad addormentarsi. Improvvisamente, un senso di sonno, chiuse gli occhi. Si risvegliò dopo quattro ore, alle quattro di mattina circa, abbastanza rinfrancata; ma si era svegliata così presto per via di un senso di inquetudine. Non aveva avuto incubi o che altro, solo sogni comuni, ma qualcosa le turbava i sensi, un sentore negativo. Si alzò, si stirò le membra, e, volgendo gli occhi in direzione della foresta della magia, dove abitava, rimase scioccata.
Un enorme reticolo di tenebre circondava la foresta, o meglio, uscivano di essa; enormi creature incorporee e nere uscivano dagli alberi e si contorcevano come per evadere dalla boscaglia fitta. Lo spettacolo era agghiacciante e nella sua breve ma intensa vita da maga non aveva mai visto niente di simile, niente di così maleficamente maestoso e ripugnante. Le sue membra iniziarono a tremare, stava perdendo il controllo di se... erano quelle cose che l’avevano assalita nei suoi sogni, erano quelle cose che le entravano in testa fino a fargliela scoppiare, ed erano migliaia! Le forze le vennero a mancare, non poteva tornare a casa, non poteva fuggire, non poteva fare nulla, se si fossero espansi avrebbero preso anche il tempio e tutto il circondario, magari tutta Gensokyo!
Dopo qualche minuto di panico, Marisa vide le creture iniziare a dissolversi come nuvole nere di fronte al vento. E mentre ancora erano ben visibili, corse dentro al tempio all’impazzata. “Reimu! Reimu! Vieni subito qui, alzati!” Non rispondeva. “Reimu!!!! Meledizione!” Si voltò, erano ancora visibili. Entrò nel tempio e, vedendola dormire sul futon, la spinse bruscamente fuori dalle coperte chiamandola all’impazzata. “Alzati!” “Ma cosa?? Che stai facendo Marisa, sto domendo!” La faccia assonnata della sacerdotessa era scocciata, ma il riposo interrotto non le causava limitazioni ai sensi, era molto lucida, probabilmente per via di una vita dedita alla vigilanza costante. Uscite fuori, Marisa indicò la foresta della magia, ancora per metà avvolta dalle creature incorporee. “Cosa c’è? Non mi avrai svegliata prima dell’alba per vedere le stelle!” “No, no, guarda verso la foresta!” Reimu si sforzò, ma la sua espressione scocciata non cambiò. “Cosa c’è?” “Cosa vedi di strano nella foresta?” “Niente. E ti dico che la prossima volta che mi svegli per farmi un tiro come questo ti strangolo per davvero, notte!”
Le creature dopo pochi minuti scomparvero, senza traccia. Marisa era sconfitta, non sapeva più cosa fare, neppure i poteri spirituali di Reimu erano valsi qualcosa; lei non vedeva. Il fenomeno era allora sicuramente legato ai suoi sogni, lei aveva sognato, e lei poteva vedere. Uno svantaggio e un vantaggio al contempo. “Chi prende il primo fendente vede i colpi arrivargli incontro...” Incubi, creature nere ed evanescenti che escono dalla foresta dove abitava, messaggi di morte, somiglianze tra le creture degli incubi e quelle della visione appena avuta, e nessun altro le notava... Il suo volto si fece cupo e serio, non intendeva aspettare un solo secondo di più, non voleva nascondersi; se era lei che volevano, si sarebbe fatta avanti, come aveva sempre fatto. La paura fu duramente messa da parte e... dentro di sé sentì montare quel forte senso di competizione, la bramosia di vittoria e di potere, l’impazienza prima della battaglia.
Ma in lei convivevano due emozioni contrastanti ora, l’audacia e la paura dell’ignoto, della morte, che poteva davvero rischiare, ne era sicura.
Prese la scopa, controllò le tasche del vestito, estrasse una boccetta e la bevve. Il viso si rilassò, le gote riacquistarono colore, le occhiaie svanirono, i muscoli si tonificarono, e le percezioni si ottimizzarono.
“Io vado, Reimu! Ho delle commissioni da sbrigare, se non torno, sai cosa fare.” Disse, il viso perfettamente concentrato e rivolto verso il bosco. Una figura, che forse non aveva ancora ripreso sonno, o semplicemente aveva intuito qualcosa, rispose facendo capolino dalla porta. “Hai deciso di porre fine ad una questione vedo. Ha a che vedere con i tuoi sogni e con la foga che avevi poco fa?” “Potrebbe essere.” “Allora... non ti chiederò di venire con te. So che non mi vorresti. E che non sarei di aiuto” “Già” “So cosa fare se non tornerai, indagherò sulla questione.” “ A me non interessa che tu difenda Gensokyo o che tu vendichi la mia morte, mi interessa solo che tu non mi venga a cercare. Se non torno, non mi troverai più, puoi starne certa. Sarebbe una perdita di tempo, hai di meglio da fare.” La sacerdotessa si alterò leggermente “Io difenderò Gensokyo, anche se a te non è mai importato di difenderla, è il mio dovere. Io non uccido gli youkai per il gusto della lotta o per diventare più potente...” “Ah, peccato, la pensiamo diversamente. Bè, vado. A buon rendere!” E la salutò col suo solito sorriso da ragazzino scapestrato. “Buona fortuna anche a te, Marisa.” Poi un respiro, e con un volto ora molto diverso: ” Se torni con dei soldi, lasciane un pò in offerta al tempio, me li devi per avermi seccato questi giorni.” Reimu aveva risposto con un sorriso malizioso e volutamente avido, poco convincente detto da lei. “Non contarci!” E spiccò il volo di getto.
Ora volava, l’aria le dava una piacevole sensazione di forza, le sue preoccupazioni si accavallavano numerose nella mente, ma le domava, sarebbe giunta alla foresta e avrebbe scoperto il legame tra quei sogni, quelle apparizioni e... quei messaggi di morte. Cercava di non pensarci, sapeva che se ci avrebbe pensato troppo si sarebbe fatta prendere dalla disperazione: non sapeva come fare, dove cercare di preciso, e come se la sarebbe cavata. Reistendo stoicamente alle sue paure più istintive spostò il volo verso l’alto, per avere una visione completa della foresta. Era uno spettacolo di smeraldo e di nero carbone, l’intrecciarsi perfetto della vegetazione e delle rocce era un’opera che solo un dio poteva avere concepito. La maestosa foresta della magia, ai cui confini stava la sua casa. La tana di moltissime specie di youkai, divoratori di umani; maga o non maga, in quell’inferno solo alcuni erano neutrali nei confronti degli umani. Ma i predatori non mancavano, nessun umano sfuggiva ai sensi delle creature magiche. “Dovessi trascinarci il mio cadavere dentro, scoprirò cosa sta succedendo.” Le membra le tremavano di nuovo, ma non se ne accorse.
Re: Touhou: Poltergeist Sabbath of Nightmares
Inviato: 29/09/2009, 14:24
da remilia scarlet
Bellissima e poi nonostante sia un capitolo lungo non è pesante da leggere
davvero un ottimo lavoro
Re: Touhou: Poltergeist Sabbath of Nightmares
Inviato: 30/09/2009, 9:44
da Yuki
Grazie dell'attenzione e per avermi commentato :3. Spero di costruire presto il secondo capitolo.
Re: Touhou: Poltergeist Sabbath of Nightmares
Inviato: 10/10/2009, 0:05
da Yuki
Capitolo 2
Lupo solitario
Quel giorno apparteneva a quella squisita parte dell’estate morente, fine agosto. Il clima era tiepido ed era l’ideale per riposarsi all’aperto; spirava un carezzevole venticello. Un usignolo cantava nitidamente sul silenzio della notte per una sola ascoltatrice. I toni squillanti dell’uccellino catturavano i sensi di Marisa, assorta e rapita da tanta bravura canora. Non seppe per quanto tempo era rimasta ad ascoltarlo, ma notò chiaramente il canto dissolversi con l’arrivo dei primi chiarori all’orizzonte. Con lo svanire della melodia anche l’immagine fantasiosa che evocava nella mente della ragazza svanì, rendendosi conto di essersi persa a sognare ad occhi aperti di nuovo, cosa di cui sapeva bene non poteva fare a meno; era una sua caratteristica innata, il perdersi a sognare, ad allontanarsi dalla realtà. Ma era sua risoluzione non distogliersi dai suoi impegni.
Analizzò la situazione: a occhio erano già le 5:30, o le 6. Nell’arco di mezz’ora il sole sarebbe sorto. Indecisa sul da farsi, la sua prontezza nel recarsi nel folto della foresta della magia svaniva lentamente. Non si sentiva pronta e non aveva abbastanza informazioni. Del resto aveva chiesto solo a Reimu di guardare la foresta in quel momento, non sapeva se altri avessero avuto la sua stessa visione. Voleva esserne certa, assicurarsi della presenza di quelle creature; sapeva di averle viste, sapeva che erano presenti, ma non si sentiva abbastanza sicura, aveva bisogno di temporeggiare.
Ecco cosa voleva: temporeggiare. Non se la sentiva di entrare nel buio della selva senza altre informazioni: anche la più misera poteva esserle utile. Ma sapeva bene che le interessava solo ingannare se stessa, voleva convicersi che ci sarebbe andata, mentre nel fondo del suo animo mancava di coraggio tangibile. Le creature dei suoi incubi, la visione della propria morte cruenta. L’angosciava l’idea di andare incontro alla sua morte; che senso aveva? Si mise a volare verso il basso, ad altissima velocità, radendo il terreno coltivato fiancheggiante la foresta. “Perché? Perché? Me dannata!” pensò, mentre contraeva il viso in un’espressione che cercava di nascondere la paura. Doveva prendere tempo, l’ammetteva, ma il problema non si sarebbe risolto da solo. No! Volevano lei, questo era certo, non sapeva se altri erano implicati in questo inferno, ma lei ci era dentro.
La paura non accennava a calare, la sola idea di entrare nella tana dell’orso le era insopportabile. Quindi cosa fare? Nascondersi in casa? L’avrebbero raggiunta bene o male, come le prime due volte. Chiedere aiuto? No, proprio no. Non era da lei chiedere aiuto. Se l’era sempre cavata da sola e allo stesso tempo riteneva che se sarebbe sfuggita a questo incubo, probabilmente avrebbe terminato i suoi giorni da sola. Nonostante non lo desse mai a vedere e anche per via della sua amicizia con Reimu e Alice, non si era mai resa veramente conto della sua volontaria solitudine, delle conseguenze negative del suo ritiro dalla comunità umana a cui apparteneva. Ne aveva considerato solo i vantaggi, che per lei erano tutto ciò che contava: libertà, potere, nessun dovere civile. Ma in cuor suo, forse non si rendeva conto dell’amaro che nel suo animo lasciava la mancanza, vuoi per pigrizia, vuoi per asocialità, di una compagnia fissa, per sempre. Non aveva mai cercato un ragazzo, un probabile futuro marito, niente di lontanamente simile. Il bisogno latente l’aveva costretta a concentrarsi ancora di più nel suo mondo, nei suoi libri, nella sua magia e soprattutto su se stessa. Il bisogno di un amante era ormai stato messo irrazionalmente da parte, anche se tutt’ora si faceva sentire, non bastava la magia a colmarlo: lei lo sapeva bene. Scese dalla scopa e, con un espressione alterata aprì violentemente la porta di casa. Tutti i suoi problemi e le sue paure le stavano dando addosso senza pietà! Mentre cercava un libro tra la confusione del tavolo, per la frustrazione infranse il vetro di una finestra con un pugno, che iniziò a colare sangue.
Dopo due ore di studio e ricerca di materiali utili, oltre a bendarsi grezzamente il polso, chiuse la porta di casa, lasciandosela alle spalle. Aveva deciso: sarebbe andata a raccogliere informazioni in paese, ormai a quell’ora il villaggio si era destato. “Qualcuno potrebbe aver visto quelle creature tenebrose come me, o sognato incubi analoghi”
Spiccò il volo rapida, dopo una notevole ascesa puntò frettolosamente verso il basso sfruttando l’accelerazione gravitazionale. Si lasciò cadere dalla scopa una volta ad un metro e mezzo dal terreno, con un balzo, come solito suo.
Da chi cominciare? Tra i primi a vagare per il paese erano i contadini e gli allevatori. Si sarebbe recata da loro. Mentre ancora camminava tra i campi, vide un uomo raccogliere pere da un albero, un giovane agricoltore. “Salve buon uomo, avrei bisogno di un’informazione.” Si rivolse cortesemente al giovane, il quale la guardò incuriosito, non l’aveva vista arrivare. “Ditemi signorina... non vi conosco.” “Non sono del villaggio. Vorrei chiedervi se avete riscontrato strani fenomeni in questi ultimi giorni, anche se fossero solo voci mi sarebbero utili.” “Strani fenomeni? Di che genere?” “Bè, per cominciare, avete notato qualcosa di strano nella Foresta della Magia di recente?” Il ragazzo si fece pensieroso “Non mi sembra proprio, anche se ho sentito di strane visioni che ha avuto il mio vicino. Blaterava di incubi di cui ha avuto allucinazioni anche da sveglio, in direzione della Foresta. Ma a mio parere sono solo fandonie, non gli darei retta se fossi in voi.” Il volto di Marisa si incupì all’udire la notizia. Doveva parlare con quell’uomo e se possibile trovare altre testimonianze, anche se già questa era più che sufficiente.
Dopo essersi fatta indicare l’abitazione, trovò quello che sembrava il contadino visionario a lavorare su dei pali di rinforzo delle vigne. All’udire l’argomento portato da Marisa, l’uomo si agitò e disse: “Mi chiedete di presagi nefasti, signorina. Io li ho visti, stamane, erano orrendi mostri che uscivano dal folto del bosco, orrendi vi dico! Enormi fauci, lunghe zampe e tentacoli come non ne avevo mai visti. E di essi avevo avuto preannuncio, sappiatelo! La notte scorsa sognai quelle stesse creature. Il cielo me ne scampi! Uccidevano le persone che conoscevo, i miei cari, e poi me stesso! Ve lo dico in buona fede signorina, li ho visti con questi occhi. Non volevo crederci, ma li ho visti e ho dovuto accettare che erano lì. I miei vicini mi credono pazzo, ma li ho visti.” Marisa mostrava un notevole interesse nella conversazione e il vecchio contadino sembrava apprezzarlo, come se avere qualcuno che lo comprendesse fosse un enorme sollievo e la conferma di essere sano di mente. Dopo aver ringraziato il vecchio, si diresse verso il centro urbano del paese, per ottenere magari altre possibili testimonianze.
Bussò alla casa del sindaco. Un uomo molto alto e di corporatura robusta, sulla quarantina, aprì la porta, aveva un’espressione assonnata e scocciata. Il signor Mori, sindaco di uno dei tanti paesi del territorio insediato dagli umani, uscì dalla porta della sua abitazione praticamente ancora mezzo addormentato. Per quanto ne sapeva Marisa era una brava persona, ma mancava talvolta di senso pratico e particolarmente di voglia di alzarsi la mattina. “Oh, buondì Kirisame, ti serve qualcosa? Sono tanti mesi che non passi di qui. E in genere quando passi è perché devi chiedere qualcosa.” “Non volevo distrarvi dai vostri affari, sindaco Mori, ma sto indagando su alcuni fatti un pò sospetti avvenuti di recente. So bene che passo di rado e generalmente per chiedere un favore o una collaborazione, ma del resto io e il villaggio non andiamo molto d’accordo.” Mori sembrò dispiaciuto dall’affermazione della maga, ma si trattenne dal mostrarlo. “Bè, i miei paesani non hanno mai apprezzato molto la magia, senza contare che gli incantatori stessi non sono molto interessati alla nostra società. Sin da quando hai intrapreso i tuoi primi studi sei diventata molto più solitaria, almeno per quel poco che ne so io. So che come alcuni altri maghi ti sei ritirata a vivere vicino alla Foresta. Mi ricordo che da bambina passavi ogni tanto da noi...” “D’accordo, basta così con le reminescenze. Ho da fare. Ho sentito alcuni contadini, uno di essi ha avuto visioni diurne abbastanza terrificanti provenienti dalla Foresta della Magia, oltre ad aver sognato incubi molto violenti ieri notte. Ne sai qualcosa? Altre notizie, magari provenienti dal paese?” “Uhm...Incubi. Incubi e visioni. Per quanto mi riguarda non ho avuto nessuna di queste esperienze, ma ho sentito alcuni casi qui intorno in paese. Inutile dire che non ci avevo dato peso, chi lo farebbe del resto. Ma se stai indagando sulla questione... Mi viene da pensare che sia un affare molto serio, magari uno youkai.” Marisa inspirò lentamente col naso. “Lo stavo pensando anche io. Forse anche un insieme di youkai, un potere che invade i sogni delle persone non è esattamente comune.” Il sindaco si avvicinò a lei, come per evitare che i primi passanti mattutini la vedessero e aggiunse: “Se vuoi posso andare a chiamare i testimoni in modo che tu possa parlarci di persona.” Marisa si scostò un ciuffo dalla fronte, pensosa. “No. E’ sufficiente così. A dire il vero stavo solo verificando la presenza di avvistamenti in paese. Non preoccupatevi comunque, se dovessero esserci attacchi di youkai in paese la sacerdotessa Hakurei si farà viva immediatamente. Io sto solo indagando sulla natura del fenomeno, potrebbe benissimo essere inoffensivo.” Sorrise come al suo solito, con la sua aria da ragazzaccio, congedandosi dal sindaco. “E’ stato un piacere darti una mano, ragazza. Il villaggio è sempre aperto agli umani, anche se maghi. So che non hai mai cattive intenzioni, ma devi portare pazienza con la gente, è diffidente. Stammi bene.” Marisa si allontanò con un cenno frettoloso della mano a mo di saluto girandosi verso il brav’uomo.
Il più era fatto. Ora ne aveva le prove. Un’entità soprannaturale stava spingendo i suoi poteri fuori dalla Foresta della Magia e aveva raggiunto lei e alcuni abitanti vicini ad essa. Ma resoconti di messaggi minatori non ne aveva riscontrati. Il suo era l’unico caso che presentava delle scritte. Ovviamente parlando della sua indagine Marisa non aveva menzionato le sue esperienze in merito. Ad ogni modo, ora aveva indizi concreti del fenomeno: era arrivato il momento di addentrarsi nel luogo. Il fatto che alcuni avessero avuto l’incubo solo la notte scorsa era a favore di una teoria di fuoriuscita del suddetto potere; qualcosa stava cercando di estendere questa influenza fuori della selva.
Mentre camminava sovrappensiero in direzione dei campi, per poi prendere il volo indisturbata, venne incontro ad un rumoroso gruppetto di bambini che giocavano con una palla sul prato. Uno di essi, mentre lei li incrociava, le puntò il dito contro e con un gran sorriso di stupore disse. “Guardate! E’ la signorina che è entrata in paese poco fa!” L’eco delle escalamazioni di meraviglia infastidì enormemente la maga, che accelerò il passo. Lo stesso bambino di prima le corse incontro “E’ vero che non sei del villaggio? Mia madre dice che vieni qui di rado e che sei molto strana, vero? Mi dice sempre che devo starti alla larga se ti vedo.” La strega si stava notevolmente innervosendo, nonché sentendosi completamente a disagio per via degli sguardi timorosi degli altri e per il bisbiglio dei paesani, che passando la guardavano di sottecchi; prese ad ignorare il ragazzino, passandogli oltre e urtandolo nella fretta. “Ehiiii, non andartene, gioca con noi! Dicono che sei una maga, è vero? E’ vero?” Una frotta di bambini le corse incontro, iniziando a circondarla incuriositi. Un vociare enorme l’avvolse, chi diceva che voleva vedere le magie, chi asseriva che era una persona sospetta, chi le chiedeva se era una strega cattiva e se mangiava i bambini. Trovandosi impossibilitata a proseguire, si sentiva in trappola, sotto lo sguardo di tutti i passanti che la guardavano sfiduciosi; qualche donna accorreva a prendere il suo bambino con fare diffidente. Il suo volto assunse un’espressione furiosa, tanto da urlare. “Andatevene! Non ho tempo da buttare con marmocchi impertinenti!” disse scostandone bruscamente alcuni con le mani per farsi largo tra di loro; alcuni presero spavento e indietreggiarono. Altri insistevano. “Adesso basta!!” Urlo in collera, probabilmente facendosi sentire anche da diverse abitazioni nel circondario, tuonando imperiosa. I bambini si levarono, ma ormai aveva perso la misura di se; odiava essere additata come diversa dalla gente del villaggio, come la strega solitaria, con tutte le false storie infamanti che circolavano di nascosto, inoltre non amava la compagnia degli estranei. Si girò verso il ragazzino che aveva movimentato gli altri e lo prese per le spalle aggiungendo minacciosamente e impazientemente: “Vedi di andartene immediatamente e di portarti dietro il tuo gruppo di amichetti o ti assicuro che non uscirai più di casa per paura di incontrarmi di nuovo.” Lo spinse via bruscamente e quello prese a piangere rumorosamente a scappare di corsa, seguito dai suoi amici. Molti paesani si girarono di spalle alle occhiate adirate della ragazza. Se ne andò a passo svelto, non voleva restare oltre in un simile posto. Il sindaco lo sapeva bene, ormai era infatti risaputo: non era apprezzata in paese, non sapeva se per le sue scelte di vita solitaria o per la sua magia. Non veniva rifiutata dal villaggio, non era considerata pericolosa pubblicamente, ma alcuni paesani erano convinti che fosse una poco di buono, una delinquente che si dava alle arcane arti della magia. In più la sua asocialità non aveva certo aiutato: col passare degli anni il silenzioso divario tra lei e la gente comune aumentava. La sua amicizia con la sacerdotessa dall’altra parte tendeva a darle un aspetto dignitoso, ufficialmente parlando, ma sotto sotto una componente del vilaggio non si fidava molto di lei.
Uscita nella zona agricola prese a correre nervosamente, prima se ne fosse andata meglio sarebbe stata. Aveva sofferto molto quelle prime volte che avevano iniziato a circolare quelle voci maligne su di lei e sentirle ancora adesso, come sentirsi discriminata, le doleva dentro. Mentre attraversava i campi si accorse di una presenza: una persona si nascondeva dietro un albero e la stava fissando. In pochi secondi notò che si trattava di un bambino, che timidamente faceva capolino da dietro l’albero. “Cosa vuoi?” Disse in tono seccato ma calmo, guardandolo girando solo la testa, dandogli ancora le spalle. Il bambino le si avvicinò pian piano, era della stessa età approssimativa degli altri, sugli otto anni. Arrivato a due metri da lei si fermò. Marisa era molto nervosa e aveva fretta di mandarlo via, ma prima voleva sapere perché la seguiva. “Parla!” Ingiunse. Il ragazzino mosse pian piano la bocca e poi: “E.. ecco, io volevo porgere le mie scuse per il comportamento del mio amico che ti ha parlato e degli altri. Non volevano essere scortesi, ne sono sicuro. Perdonaci signorina.” Il volto di Marisa era rimasto duro e impaziente, non si era ancora del tutto girata e in parte gli dava ancora le spalle, tranne la testa. “Lo so che sei arrabbiata, anche mia mamma dice quelle cose cattive, ma io non le credo. Io penso che in realtà sei una persona per bene, ti ho vista parlare anche col sindaco e poi sono convinto che per studiare magia bisogna essere delle persone speciali, non cattive. Tu devi essere speciale.” Marisa si girò del tutto, mettendosi un braccio sul fianco e inclinando leggermente la testa sul lato destro mentre lo fissava inespressiva. Il ragazzino si stava visibilmente demoralizzando, non otteneva risposta, aveva solo ottenuto di farla girare verso di lui interamente, pareva molto a disagio. “Ecco, magari non mi credi, potrebbe anche essere che qualcuno di loro non capisse che stava sbagliando, ma io non ho partecipato alla cosa, quando sei comparsa tu io sono rimasto a guardare in disparte e siccome nessuno è venuto a scusarsi l’ho fatto io, del resto sono amici miei.” Il viso di Marisa, che già da quando aveva iniziato a parlare il bambino si era disteso, ora era del tutto disteso, ma inespressivo. Fece un passo verso il bimbo, molto corto, poi un altro. Il ragazzino si preoccupò e prese ad indietreggiare pian piano. “Stai fermo.” Disse inespressivamente. Il bambino si fermò e attese con evidente preoccupazione che si avvicinasse. Si pose vicino a lui, si inginocchiò e lo guardò dritto negli occhi per diversi secondi, molto seria, quasi adirata sarebbe più corretto dire.
“Bu!” disse. Il ragazzino si sbilanciò, per lo spavento improvviso, e cadde sul sedere. Il volto della maga esplose di ilarità all’improvviso e alzandosi di scatto in piedi esordì in una fragorosa risata “Ahahah! Eheheheh!”Si teneva la pancia dal ridere, le lacrime quasi le uscivano per il divertimento. Il bambino era spiazzato, non reagiva nè si rialzava. Dopo pochi attimi la ragazza smise di ridere e sorridendo furbescamente disse: “Che bello spavento ti sei preso eh? E’ stato divertentissimo, scusami, ma non ho resistito alla tentazione di farti questo scherzo. Ora alzati.” Gli porse una mano per alzarsi, lui la accettò e fu praticamente tirato su dalle forze di lei con uno strattone. “Non ci si deve scusare delle cose che non si hanno combinato; e in quanto ai tuoi amici ho già dato loro una strigliata. Apprezzo la tua sincerità, detesto le persone ipocrite come certi paesani di qui.” Il piccolo sembrava molto rinfrancato dal discorso della ragazza e la guardava ad occhi spalancati. Ella gli mise una mano tra i capelli, come per incoraggiarlo. “Su su, non c’è da rimanere scioccati così per uno scherzetto. Bè, mi ha fatto piacere sentire le tue parole. Come ti chiami?” “Itsuki” “Io mi chiamo Marisa, piacere di conoscerti.” Gli porse nuovamente la mano e si scambiarono una stretta. “Ora ti saluto, devo sbrigare una cosa. Ah. Un attimo.” Frugò nelle tasche del grembiule finché dopo qualche istante non estrasse un bracciale azzurro di stoffa, dotato di riflessi multicolori che percorrevano l’oggetto come una luce in movimento. “Tieni, mettitelo.” Gli occhi del bambino erano affascinati dai colori del braccialetto. “Cos’è?” Disse. “Un mio oggetto magico, l’ho fabbricato tempo fa ma non l’ho mai usato e penso non mi servirà mai, a te penso tornerà molto più utile. Ora prendilo dalla mia mano e pronuncia il mio nome mentre lo afferri.” Itsuki posò la sua mano su quella della strega e mentre prelevava il bracciale disse “Marisa.” Il bracciale s’illuminò notevolmente e mutò forma, diventando della lunghezza adatta per il polso del fanciullo. “Ti consiglio di mettertelo soprattutto quando vai in zone pericolose, o quando comunque vuoi sentirti al sicuro. L’avevo caricato mesi fa di magia in fuzione difensiva e penso che tu sia la persona più adatta a cui darlo. In caso i suoi poteri non fossero sufficienti a contrastare un dato pericolo... chiama il mio nome. Hai segnato un piccolo contratto di alleanza a tuo vantaggio con quel bracciale, in parole povere se mi chiami io ti sento anche se fossi a cento chilometri da te. Inoltre ti avverte della mia presenza quando sono vicina. Ora però devo correre. Buona fortuna Itsuki, ci rivedremo tra breve, ogni tanto passo per il villaggio.” Spiccò il volo sotto gli occhi increduli di Itsuki, che non aveva probabilmente mai visto una scopa stregata. Marisa riuscì ad udire un “Ciao!”, prima di salire in alto, come un aquilone ad un improvviso soffio di vento.
E ora sarebbe andata incontro alla sua sfida personale, anzi, incontro alla minaccia che si profilava davanti a lei, a testa alta, consapevole delle proprie paure e dei propri limiti. Ma non per questo meno forte e capace. Quel lupo solitario, per quanto senza un branco, per quanto penalizzato dalla sua scelta di viaggiare in solitudine, non è certo privo delle sue zanne, temute anche dal più feroce degli orsi.
Re: Touhou: Poltergeist Sabbath of Nightmares
Inviato: 05/11/2009, 23:16
da Yuki
Capitolo 3
Una lama del colore dell’anima
Qualcuno stava all’ingresso di uno dei sentieri per la Foresta. Troppo lontano per essere ben definito da quella distanza. La pendenza era lieve su quel tratto collinoso in direzione della macchia, ma comunque affaticava i piedi. I piedi in quelle scarpe nere iniziavano a sentire qualche spigolo delle dure rocce sporgenti dal terreno. Sopra di esse due gambe pressoché bianche, con diversi tagli, lividi vecchi e nuovi, due cerotti sulle ginocchia, e una cicatrice ancora rossa delimitava la parte esterna della coscia destra, non visibile se non si guardava dentro alle sottane bianche, ma ormai consumate; una delle tante paia che aveva, prese pari pari da sua nonna, in quanto non amava buttare i soldi per abiti sfarzosi. Un grembiule bianco presentava qua e là piccole toppe, e cuciture imprecise. Un abito nero, comprato di seconda mano un anno fa, iniziava a starle piccolo, ma che sarebbe stato ancora sufficiente per un anno a venire, era anch’esso leggermente lacerato sui bordi, oltre ad avere perso parte del colore in alcuni punti, per l’eccessivo sfregamento della spazzola. Sotto di esso una camicia bianca, di una fattura semplice ma comoda e dignitosa, diversa dalle solite camice femminili, che erano poco pratiche per il movimento, era del genere usata anche per andare a cavallo dalle donne. Sulle braccia, parallelamente alle gambe, affioravano segni di conflitto, ustioni ormai sanate dal tempo, un lungo taglio di sangue coagulato sul gomito sinistro. Le mani dalle dita piccole e affusolate presentavano cerotti su un pollice; tutte le dita avevano leggeri calli sui polpastrelli, adeguatisi al lavoro manuale e al contatto con superfici ostili. Una gentile brezza le sfiorava il viso, di una morbida forma ovale, radioso in tutta la sua giovinezza, nonostante l’espressione dura e provata conservava tutto il suo elegante colorito bianco, che non stonava affatto con i residui di graffi sulla fronte e sul mento. Come un ritratto paesaggistico, nel suo viso si mescolavano elementi di svariata natura, le asperità delle vecchie ferite, la morbidezza delle gote e delle piccole labbra rosa, i due specchi dorati incoronati da due sopracciglia bionde e fiere. Una piccola treccia dorata scendeva sulla spalla sinistra, spuntava da una cascata di capelli dorati e selvatici; cadevano disordinati, talvolta impetuosi verso il basso, talvolta indugiando in piccole onde, indecisi sulla loro natura, se ondulata o liscia. La frangia celava scompostamente una fronte decisa ed elegante, con ciuffi disordinati e tagliati da mani frettolose; al passare del respiro del vento si scuotevano come fronde nella tempesta.
In cima alla collinetta, di fronte all’imbocco per uno dei tanti sentieri, stava la figura di una persona, una donna o una ragazza, pensò a prima vista la maga. Fissava con enorme interesse la traiettoria del sentiero interna alla Foresta e ancora non sembrava aver notato Marisa avvicinarsi. Un gilet verde sopra una candica camicia assai raffinata, una gonna dello stesso colore del gilet cadeva fino a poco prima dello stinco, legata alla vita della gonna stava una spada, una katana, ad occhio di valore inestimabile, sicuramente unica nel suo genere, dai delicati intarsi argentati sul manico, li fodero era di un legno scurissimo quanto pregiato. La delicata mano sinistra indugiava nervosamente sull’impugnatura, giocherellava impazientemente con la nappa di finissimo tessuto argentato sull’estemità dell’elsa. Due occhi blu profondi e saldi fissavano davanti a se impassibilmente, incorniciati da dei capelli anch’essi argentati, così impeccabilmente intonati con la nappa e le decorazioni della spada, parevano un tutt’uno, pensò tra se e se Marisa. A contrastare con la bianchezza soprannaturale della pelle, soprendentemente immacolata e marmorea, un nastro nero come la morte tratteneva i capelli, ordinatissimi e tagliati con precisione armonica al livello della spalla, come le tenebre abbracciano la luna in un cielo senza stelle. La strega notò un particolare assai inquietante: un fiorellino cresceva all’estremità del fodero. Un fiore dalla consistenza tenue, sembrava sfuggire una definizione precisa nei suoi contorni; nasceva dal legno del fodero ed emanava una luce spettrale ed immateriale. Curioso il fatto, notò dentro di se la ragazza, che il fiore fosse effettivamente molto bello, ma emanava una lontana idea di putrescenza e decomposizione, non aveva effettivamente nulla di vegetale se non l’apparenza, eppure, in tanta soprannaturalità, aveva un nascosto fascino.
Dopo qualche altro passo la ragazza, inespressiva come un soldato, si volse a lei. “...” Sembrava voler aprire la bocca ma si trattenne. Che volesse attendere le parole di Marisa? Sembrava incerta nonstante non esprimesse ancora nulla attraverso il volto. La mano sinistra continuava a giocherellare con l’elsa. Marisa si fermò a pochi metri da questa; non aveva molta voglia di rompere lei il silenzio, quindi si mise ad attendere, a braccia distese, rilassandosi spostando il peso su un piede, con la testa leggermente reclinata su un lato. Passarono diversi secondi di silenzio immoto, durante i quali Marisa sentì crescere la propria ansia e preoccupazione, mentre l’altra sembrava non reagire minimamente. Ancora silenzio, poi... un suono secco e lieve, la ragazza albina aveva alzato con un pollice la spada dal fodero di un centimetro. Marisa perse immediatamente la sua compostezza, il volto si tese in un’espressione spaventata e minacciosa al contempo, mentre la ragazza armata non mostrava alcuna reazione o emozione. “Mi sta per attaccare!” fu l’immediato pensiero della maga, che stava per indietreggiare per prendere tempo e non farsi colpire. Immediatamente, senza preavviso, quello che si potrebbe a prima vista descrivere come un enorme ramo nodoso e nero comparve fulmineamente dalle viscere della Foresta, in un solo secondo fu vicinissimo alle due donne. In quel ridottissimo istante un corpo tenuamente illuminato comparve accanto alla figura della spadaccina, e gli occhi di quest’ultima divennero improvvisamente pieni di luce blu: se quelli di prima erano smorti, questi erano vivi più che mai. La fronte si contrasse assieme alle labbra. Fu una sciabolata tremenda, un vento irruentissimo sbalzò Marisa dal terreno, migliaia di luci evanescenti emanavano dalla lama ancora tesa dopo un colpo quasi impossibile da vedere. Il corpo della creatura simile ad un vegetale enorme cadde, rivelando la sua natura inconsistente: era una sorta di miraggio? Ci si vedeva vagamente attraverso, e sembrava aver attraversato tutta la Foresta passandoci attraverso. Cosa avrebbe comportato l’essere aggrediti da quella cosa? Marisa tremò per un istante. Forse più per il tremendo impatto causato dalla lama. La figura incorporea e illuminata uscì dal corpo della spadaccina, che riacquistò un aspetto rilassato. La creatura mostruosa si contorceva a terra, e, dopo pochi istanti, sembrò non essere mai esistita.
La giovane donna guardò la strega negli occhi, inaspettatamente mostrò un sincero stupore, si direbbe quasi quello che mostrerebbe una bambina di fronte ad una luna lucentissima in cielo. “Signorina Marisa...” La maga, sdraiata a terra prona, era semplicemente scioccata, il cappello le era partito via qualche metro indietro, e i capelli erano completamente scompigliati all’indietro. “Youmu... cosa diavolo ci fai qui? Pensavo stessi per ammazzarmi sul colpo!” Youmu si stupì ancora di più, stavolta l’espressione era ancora più ingenua e sinceramente stupefatta. “Sto svolgendo un lavoro per la signora Yuyuko. Non mi aspettavo di trovarvi qui. Se siete venuta a richiedere una sfida vi prego di ritirarvi per ora, ho delle mansioni abbastanza urgenti da sbrigare, inoltre non sono assolutamente coinvolta nei disordini che infestano questa Foresta, dato che sto cercando di venirne a capo da stamattina.” Marisa si fece pensosa. “Di che disordini stai parlando?” “Non lo sapete?” Il viso di Youmu si fece ancora più infantilmente incredulo. “Pensavo ve ne foste accorta. Da due giorni circa la Foresta non è più la stessa. Entità non definite, situate al suo interno, minacciano i dintorni della macchia, e pare che ad una prima analisi siano di natura incorporea, ma dotati della facoltà di rendersi corporei a piacimento... o a piacimento di chi li governa. La padrona Yuyuko mi ha concesso di lasciare momentaneamente la cura del giardino per indagare e prevenire eventuali problemi.” Prese un leggero respiro, il suo corpo nonmorto ma immutato dal tempo sembrava vivere come quello di Marisa. “Posso chiedervi il motivo per cui siete qui?” La maga si rialzò da terra, pulendosi spicciamente il grembiule bianco e le increspature. “Sto cercando delle risposte. Probabilmente le stesse che cercate tu e Yuyuko. Devo assolutamente penetrare all’interno della macchia, il suo influsso pare essersi esteso fino a casa mia, che si trova ai confini di essa come ben sai.” Youmu parve capire al volo le motivazioni della strega, il suo volto perse rapidamente lo stupore e mutò ad un’espressione rilassata e pienamente comprensiva della situazione. “Capisco. Le vostre preoccupazioni sono più che motivate, non ci vorrà molto perché questa forza riesca ad evadere la prigionia della Foresta, forse voi non lo sapete ma...” “Ma?” “...riesco a palpare nell’aria la presenza di spiriti. Ma non sono fantasmi, me ne accorgerei subito, nulla sfugge ai miei occhi quando vi passa davanti un fantasma, tantomeno alla mia pardona, che li governa.” “Spiriti? Ma non fantasmi? Che stai cercando di dirmi?” La nobile figura espirò delicatamente, tanto era il suo spirito da muovere i suoi polmoni fermi? Pensò Marisa. La giovane giardiniera si volse di lato, verso il sentiero che saliva. “Non vi so dire di preciso. Ma sono spiriti, non sono affatto corporei nè hanno volontà propria, sono estensioni, ma non sono neanche estensioni di uno spettro. E’ qualcosa che non avevo mai visto né in vita mia né da quando veglio sul Netherworld. So solo che è di natura spirituale, ma non riesco ancora ad identificarla. Ho notato però che affligge più facilmente le creature viventi, più indifese, mentre i fantasmi possono scacciarla più agevolmente e vederla chiaramente.” “Dannazione.” Bisbigliò la maga. “Ma ritieni sia uno youkai? O un mago umano?” “Non c’è molto di umano, le manifestazioni spirituali umane non sono celate ai miei sensi, inoltre non mi da il senso di un sortilegio di uno youkai. Ma potrei anche sbagliarmi.” Marisa si morse il labbro mentre fissava intensamente la giovane parlare; dopodiché prese un passo verso il sentiero. “Avete intenzione di seguire il sentiero per il cuore della macchia?” “Si, non posso aspettare, quelle creature hanno attaccato la mia mente probabilmente, ho avuto strane visioni notturne due notti fa. Non possono essere che loro, lo stesso fenomeno è stato riscontrato anche da alcuni contadini.” Youmu sollevò un sopracciglio. “Incubi? Non mi stupirebbe la cosa.” Marisa si arrestò e si volse verso di lei. “Se entra così facilmente nella mente umana allora si tratta di qualcosa di ancor meno palpabile di uno spirito, anzi no, è uno spirito che manipola le percezioni sensoriali. Non ne ho mai visti né affrontati, ma so che in qualche modo a me oscuro è fattibile, leggende circolano su simili fenomeni. Alterare la percezione del reale, per non parlare poi dei sogni, è una pratica molto difficile, ma non del tutto irrealizzabile. Se ciò che mi rivelate ora è vero... abbiamo di fronte qualcosa di maestosamente immenso.” La bionda ragazza si lasciò prendere da un brivido di sudore freddo. Chinò il capo, non aveva molta determinazione, nel farsi abbattere così dagli ostacoli... Di impulso, come piaceva fare a lei, strinse i denti e si mosse decisa verso il sentiero. “Grazie delle informazioni Youmu, salutami Yuyuko, per una volta che non ci devo combattere contro. Se torno intera da qui magari ci rivedremo; non posso aspettare che queste cose escano. Andrò io da loro.” I due occhi blu come il mare tempestoso la fissavano andarsene. “Buona fortuna, signorina Marisa. Io resterò di guardia ancora per un poco, poi andrò a fare rapporto.” La strega aveva appena imboccato la salita per il sentiero, quando una vibrazione scosse il terreno. Si trattenne dal cadere a terra per lo smottamento, che cessò quasi subito, repentinamente accompagnato da un fruscio indefinito nell’aria. Improvvisamente ebbe un senso di stanchezza e di spossatezza alle membra, stava lentamente accasciandosi al suolo sulle ginocchia. Un rumore di passi rapidi, ancora più rapidi, un fruscio sempre più forte, altri passi ancora più rapidi e definiti, un senso imminente di nausea stava per prenderle allo stomaco, come prima di mollare la presa da un appiglio sopra un precipizio. Un rumore di pestone improvviso sul terreno di fianco a lei, una scarpetta nera si era impuntata fissa sul terreno. “Signorina Marisa!” Il fruscio si mutò in vento e si concretizzò in un’enorme serpe, il collo del diametro di una persona, che scaraventò via arbusti e rocce di fronte al sentiero. I passi e l’impetuoso tonfo nel terreno si concretizzarono in una figura in piedi di fianco a lei, rapida come una saetta tagliò in due le fauci della macabra creatura. Un ansimato bisbiglio: “Appena in tempo, stava per staccarvi la testa. Non ve ne sareste neppure accorta, basta una volta sola e...” Marisa ebbe un sussulto a quelle parole, e ancor più di fronte a quel corpo viscido e squamoso, di una stazza enorme, sufficiente a distruggere un’abitazione con pochi colpi e ad ingoiare una persona viva; perdeva copiosamente sangue scuro dalla bocca dilaniata con sapienza da un solo colpo. Non una goccia di sangue sulla lama. La creatura, nonostante così reale, era allo stesso tempo incorporea, e Marisa non riusciva a capacitarsi di come potessero risultare entrambe le cose. Rimase muta, ad osservare la creatura rapidamente decomporsi, sembrava che qualcosa volesse eliminare le tracce della sua esistenza. Youmu si girò verso di lei con naturalezza e calma, quasi non fosse accaduto nulla, ma negli occhi preoccupazione. “Dovete essere cauta, non bastano due occhi per vedere queste creature, né bastano due orecchie per sentirle. Possono comparire dal nulla e togliere la vita in un respiro. Vi consiglierei di non addentrarvi oltre, se vi interessa dare a fondo del problema forse fareste meglio a restare di guardia con me.” Marisa prese a tastare il terreno con le dita sottili, voleva confermare la sua presenza nel mondo dei vivi, e riprese in mano la scopa che le era caduta mentre il senso di mancamento le stava offuscando i sensi. Si alzò.
CI volle qualche minuto perché si riprendesse del tutto, era molto scossa. Si allontanarono dall’imboccatura del sentiero e si diressero verso la pianura poco più a valle, a circa mezzo chilometro dal sentiero. Marisa aveva appoggiato la sua scopa ad un tronco segato prima di allontanarsi dal corpo del mostro, riteneva utile liberarsene per il momento, avrebbe potuto richiamarla grazie al feticcio legatovi sul manico. Non sapeva cosa stesse aspettando, si era seduta vicino a Youmu intenta a vigilare sull’entrata della stretta via in salita, non pensava a nulla, solo aspettava. Youmu sembrava non notarla, badava solo a compiere il suo dovere, eppure Marisa era convinta che avesse occhi dappertutto, non le sfuggiva nulla probabilmente, nulla scappava a quegli occhi e a quei sensi soprannaturali.
Dopo un’ora di attesa assolutamente immotivata per la maga, durante la quale non aveva pensato assolutamente a nulla, ancora confusa dal fulmineo susseguirsi di eventi che stavano per ucciderla, un leggero tremito del terreno la destò dal vuoto mentale. I suoi sensi si acuirono, riprese inaspettatamente a focalizzare la sua attenzione sulla realtà, le braccia e gli addominali tesi, lo sguardo fisso sulla stradina per la Foresta. “Eccolo.” Fu l’unica cosa che udì provenire dalla bocca di Youmu prima dell’impatto. Forse muovendosi ad una velocità pari a quella del vento, un’enorme massa informe di esseri scuri come la notte, dotati di un volto e una sorta di corpo scheletrico e una scia incorporea lunghissima, si scaraventarono inavvertitamente su di loro. Inverosimili eppure sufficientemente reali da scuotere le fronde degli alberi e da scacciare tutti gli uccelli dai loro giacigli, si schiantarono sulla lama della giardiniera con un fragore tale che costrinse Marisa a coprirsi le orecchie, ora sdraiata a terra dietro l’altra ragazza. Youmu stava stringendo tenacemente l’impugnatura della spada per non mollare la presa, aveva già falciato diverse creature, ma altre ancora ne stavano arrivando, erano ondate, una dietro l’altra cercavano di azzannare la giovane donna, invano. “Ora signorina Marisa, ora o mai più!” La strega si levò sulle sue gambe: “Lo so benissimo, Youmu. Ci vediamo, non farti mangiare o non potrò raccontarti nulla neanche da morta.” E scattò dietro una sporgenza rocciosa per non farsi notare dalle scheletriche creature, per poi lanciarsi in corsa verso la salita. Prese a correre dietro ad una serie di rocce sporgenti che non la nascondevano interamente, ma gli spiriti non sembravano notarla, intenti ad attaccare la guardiana del giardino spirituale. Probabilmente ha intensificato la sua aura spettrale, brilla di una luce immateriale molto forte, che voglia distrarli da me di proposito? Pensò tra se e se Marisa, correndo più forte possibile nel coprire il mezzo chilometro dall’imboccatura del sentiero, dove sarebbe stata coperta dall’incipiente boscaglia e dal terreno sconnesso e ondeggiante in salita.
Si girò per l’ultima volta, prima di prendere una direzione che la nascondeva alla vista di Youmu per via di una parete montana discendente, e vide la spadaccina ancora intenta a sterminare quelle bestie dall’aspetto cadaverico. “Sono al sicuro. Per ora!” Sospirò rumorosamente, e dopo aver lasciato una ventina di metri dal luogo dove il fianco della montagna scendeva, si sdraiò dentro una nicchia naturale tra le rocce, pulendosi il sudore dalla fronte. Appoggiò la schiena sulla parete sconnessa e pungente e si mise a riflettere.